L'eresia di fra Dolcino dalla Valsesia a Vercelli

Ricerca bibliografica e archivistica a cura di F. Frongia, I.A. Montalenti, S. Sette
Testi a cura di F. Frongia, I.A. Montalenti, S. Sette
Immagini a cura di F. Frongia, I.A. Montalenti
Video a cura di I.A. Montalenti

In questa sezione ospitiamo una mostra virtuale che mira, attraverso alcuni documenti del patrimonio dell’Istituto, a riscoprire paesaggi, personaggi e vicende del Vercellese che furono teatro della “resistenza” di fra Dolcino negli anni tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo.

N. 1, 2, 3 Fra Dolcino: gli studi e la predicazione

Il noto predicatore, nato Davide Tornielli, nella seconda metà del 1200, probabilmente figlio del prete di Prato Sesia, piccolo centro alle porte della Valsesia, si trasferì fanciullo a Vercelli.
Qui, fu allievo del “magistro Syon”, autore del codice “Doctrinale novum”, nella chiesa di Sant’Agnese, che si trovava dove oggi sorge un’abitazione privata all’angolo tra l’attuale Corso Libertà e via Felice Monaco.

Il giovane Davide, affascinato dagli ideali di ispirazione millenarista, a quel tempo sempre più diffusi in Italia, che predicavano la povertà evangelica e un ritorno ad uno stile di vita il più vicina possibile a quella di Cristo e delle prime comunità cristiane, si unì al movimento degli Apostolici, a quel tempo molto attivo nella città di Parma. Nel 1300, alla morte sul rogo del fondatore della setta Gerardo Segarelli, fra Dolcino ne raccolse il testimone e nell’agosto dello stesso anno, in una lettera ai suoi seguaci, espose le sue convinzioni religiose e la sua visione del mondo. Lanciava profezie in cui si annunciava la morte di tutti gli ecclesiastici, tra cui il papa Bonifacio VIII stesso e prediceva l’avvento di una nuova era per la Chiesa. Egli si definiva mandato ed eletto da Dio per compiere una rivoluzione dei costumi e si identificava con il penultimo angelo dell’Apocalisse, quello di Tiatira, che precede l’ultimo, quello di Filadelfia, incarnato in un nuovo Papa eletto da Dio.

Il movimento degli Apostolici assunse un’importanza sempre maggiore ed ebbe largo seguito e consenso nel nord Italia, fino a Trento, dove Dolcino fece l’incontro della vita: conobbe Margherita, sua compagna fedele fino alla morte.

Negli anni successivi, braccato dalle forze ostili dell’ortodossia cristiana e dell’Inquisizione, fece ritorno presso i luoghi della sua infanzia, quei monti della Valsesia dove diede vita ad una strenua resistenza che si concluse con la cattura e il tragico epilogo della tortura e del rogo.

Nell'immagine 2 sono riprodotti quattro diversi documenti:
a. Pergamena di XIV secolo (1379 ottobre 3, Casale S. Evasio) proveniente dal fondo dell'Ospedale di San Silvestro della Rantiva, che contiene una delle più antiche menzioni della chiesa di Sant'Agnese in Vercelli, dove Dolcino, secondo le fonti, trascorse gli anni della prima adolescenza.

b. Estratto di un breve, datato 28 aprile 1297, di Papa Bonifacio VIII diretto all'abate di Santo Stefano di Vercelli.
ASVC, OSAV, m. 1832, fasc. 23.

c. Tipo orisontale di tutta la Valle di Sesia e paesi confinanti.
Arch. Gabbio, 1812 agosto 20.
ASVC, Prefettura del Dipartimento della Sesia, Disegni, n. 217.

d. Frammento di sigillo papale plumbeo, raffigurante i Santi Pietro e Paolo.

Nell'immagine 3 è riprodotto un particolare della pergamena dell'ospedale di S. Silvestro della Rantiva.

Il rettore della chiesa di S. Agnese, Giacomo, viene incaricato dal Vescovo di Vercelli Giovanni Fieschi di presiedere e garantire la presa di possesso del beneficio relativo all'Ospedale di S. Silvestro della Rantiva da parte del nuovo rettore Giovanni Cagnoli de Centoris, osteggiata dal pretendente Ubertino Avogadro di Collobiano.

Nel documento si legge: "presbitero Jacobo rectori ecclesiae Sancti Agnetis vercellensis".

N. 4 Fra Dolcino tra storia e leggenda

La fama di Davide Tornielli sembra essere legata alle fortune letterarie delle sue imprese. Dante Alighieri è il primo a immortalare con le sue terzine l’eresia di “fra Dolcino”, l’immagine di uomo armato che lotta strenuamente per le sue convinzioni, una sorta di “eretico nazionale”.
Scarsi sono i documenti coevi sopravvissuti fino ad oggi, testimoni del reale andamento delle vicende. Le fonti letterarie, di parte e legate agli ambienti dell’ortodossia cristiana e dell'Inquisizione, sono due testi: l’”Historia Fratris Dulcini heresiarchae”, resoconto di autore anonimo e di incerta tradizione manoscritta, e il "De secta illorum qui se dicunt esse de ordine Apostolorum" (sulla setta di coloro che si definiscono dell’ordine degli apostoli), scritto dal temibile inquisitore Bernardo Gui, il quale, dal 1307, portò avanti numerosi processi che portarono a dure condanne contro i dolciniani, la cui fama oggi riecheggia nei passi de “Il nome della rosa” di Umberto Eco.
Nel ‘700, i due testi salirono alla ribalta grazie all’edizione critica curata dal grande erudito Ludovico Muratori, nella collana “Rerum italicarum scriptores”. La loro pubblicazione diede impulso ad una vivace tradizione storiografica locale, dove la storia si mescola alla leggenda fino a scivolare nel mito. In un clima controverso per l’irruzione in Valsesia delle correnti rivoluzionarie francesi, il frate Filippo da Rimella, riferendosi ad un fantomatico documento da lui rinvenuto, attestante una lega costituitasi nell’agosto 1305 tra i comuni della Valsesia, chiamati alle armi contro fra Dolcino, tuona contro “il cieco e forsennato entusiasmo di una falsa e rovinosa libertà e di una anticristiana filosofia”.
Sono probabilmente legate ad ambienti conservatori anche le falsificazioni di alcune bolle di papa Clemente V sul tema dell’eresia dolciniana. Curiosa è la tradizione di un breve, datato 30 agosto 1307, indirizzato ai “Crociati contro Dolcino”, dove il Pontefice menziona e riconosce i meriti delle più importanti famiglie nobili vercellesi nella lotta all'eresiarca, definite appunto “hereticorum extirpatores”. La sua diffusione anche nei secoli più recenti è testimoniata dalla presenza di una trascrizione ottocentesca all’interno dell’archivio della nobile famiglia dei Rovasenda del Melle, conservato presso il nostro istituto.

Nell'immagine è riprodotto il breve del Pontefice Clemente V indirizzato ai "Crociati contro Dolcino". Segue la trascrizione integrale.

Clemens Episcopus Servus Servorum Dei.
Universis et singulis, praesentes inspecturis, salutem et Apostolicam benedictionem.
Opus Omnipotentis fuit liberare de manu pharaonis, et tanta et tot miracula pro antiqui temporis populi salute agere; militanti Ecclesiae, quam proprio pretioso sanguine ejus Filius adoptavit semper majoribus gratiis et auxiliis adstare ostendit. Nuper annis transactis, decursa majori parte Dalmatiae, postea Longobardiae haeresiarcha Dulcinus cum pluribus mille suis secutoribus fuit in summis alpibus captus, ac cum omnibus sequacibus ferro seu igne consumptus. Nobis expositum fuit a venerabilibus fratribus Episcopis Vercellarum et Novariae hoc debere Ecclesiam primo communibus montanorum Vallis Magnae e Sexia, et precipue nonnullis insignibus familiis super illam regionem militantibus; deinde caeteris nobilibus, et populis agri Novariensis et Vercellarum, qui pro haereticorum extirpatione substantias, et vitam atroci bello exposuerunt: inter alias ad notitiam nostram pervenerunt tamquam principales auctores, Ferlizii, Lascari, Tizzonii, Avogadri Vercellenses; Tornielli, Morbi, Brusati, Chatii Novarienses; et inter Montanos Vicecomites de Rassa, Domini de Semprolano; de Praegiumellis, de Pretis, de Anselmis, de Fricariis, de Meggiana, de Artonia, de Fobellis, de Torniellis; et ispos tamquam tirannorum hereticorum extirpatores duplici gratia et justitia condecorantes bonorum presentium terrarum, et districtus justos possessores, contestabiles, seu dominos cognoscimus, jure dignos Ecclesiae comites, et equites in perpetuum cum singulis filiis posterisque declaramus; Aulam Lateranensem, Sacrum Concistorum ispsis impertimur, cum auctoritate equites, milites eligendi, doctoratus laurea virtute praedictos insigniendi, notarios creanti, illegitimos legitimandi, et cum omnibus privilegiis, honoribus, exemptionibus equitibus et comitibus concedi solitis; et ne damnum ulterius veniat, delegamus praedictos venerabiles fratres Episcopos Vercellarum et Novariae ad conoscenda quorumque et singulorum dona, jura districtus, terra, nomina e cognomina, distinctiones familiarum, dominiorum, communium, rerum publicarum, eorum adiudicationem, sentantiam, et declarationis, voluntatis, et concessionis infringere, vel ei ausu temerario contraire: si quis autem hoc attentare praesumpserit, indignationem Omnipotentis Dei, et beatorum Petri et Pauli Apostolorum se noverit incursum.
Dactum Pictaviae, tertio idus Augusti, Anno Incarnationis Filii Dei millesimo trecentesimo septimo, Pontificat. Nostri tertio.

N. 5, 6, 7, 8 I nemici di fra Dolcino - Raniero Avogadro 

Uno dei più acerrimi nemici dei dolciniani fu il vescovo di Vercelli Raniero Avogadro.
Il cognome Avogadro era quello di un’importante famiglia dell’aristocrazia urbana che derivò il nome dall'attività avvocatizia esercitata presso la curia vescovile di Vercelli.
La prima attestazione del cognome si trova su una pergamena dell’anno 1129, purtroppo in pessimo stato, conservata presso il nostro Istituto. Si tratta di una convenzione siglata fra il Vescovo di Vercelli Anselmo (Anselmus episcopus) e Bongiovanni Avogadro (cum Bonoiohanne advocato), il capostipite della famiglia, che concedeva l’avocazia a Bongiovanni e a tutti i suoi discendenti maschi presso la curia vescovile.
Nel corso degli anni la famiglia impone la propria egemonia nella vita cittadina ricoprendo la carica di consoli per generazioni.
Tra il '200 e il '300 grandi ostilità opposero le famiglie vercellesi che si dividevano tra guelfi e ghibellini, in questo contesto gli Avogadro furono costantemente guelfi.
Quando nel 1304 Fra Dolcino si insediò a Gattinara con, dicono, migliaia di discepoli, Raniero Avogadro era vescovo da più di un anno.
Il Papa Clemente V diede ordine di intraprendere una sorta di crociata contro l’eresia dolciniana, già da tempo sotto processo dell’Inquisizione. A coloro che avessero combattuto la setta sacrilega il pontefice avrebbe concesso l’indulgenza.
Quindi Raniero, stringendo un’alleanza con il comune di Vercelli e il vescovo di Novara, riunì un imponente esercito, che seppure a fatica, fu capace di annientare la strenua resistenza degli assediati.
Il nome di Raniero Avogadro compare in diversi documenti pergamenacei conservati presso il nostro Istituto nei quali emerge come nel tempo abbia ricoperto differenti ruoli e cariche che testimoniano la sua ascesa nelle istituzioni ecclesiastiche. Di seguito eccone alcuni, presenti anche nella galleria fotografica sottostante.

n. 5

Convenzione fra il Vescovo di Vercelli Anselmo con Bongiovanni Avogadro per quale detto vescovo gli concede l’Avocazia per li suoi discendenti maschi”

"Anselmus episcopus
cum Bonoiohanne advocato"

Pergamena restaurata, ma molto lacunosa. Copia notarile di XIII sec.

n. 6

1283 aprile 7, Vercelli
Il Capitolo dei canonici di Vercelli, presieduto da Raniero Avogadro arcidiacono, prestò il suo consenso affinché il Vescovo istituisse ministro dell'ospedale di Fasano frate Anselmo dell'ordine degli Umiliati.

"Dominus Raynerus Avocatus Archidiaconus"

n. 7

1305 agosto 17, Vercelli.
Consegna fatta dai frati di San Cristoforo in Vercelli nelle mani di Monsignor Raniero vescovo di tutti i beni mobili e immobili appartenenti all'ospedale del Fasano.

n. 8

1269 aprile 20, Vercelli.
Convocazione del Capitolo dei canonici di S. Eusebio, cui partecipa Raniero Avogadro in qualità di prevosto, per confermare l'elezione di Gherardo de Judicibus alla chiesa di S. Giorgio di Rado.

La resistenza e la capitolazione

Il 25 marzo 1300 Dante inizia il suo viaggio nell’aldilà della Commedia, e, giunto nelle malebolge, incontra Maometto, il quale pronuncia una profezia su Fra Dolcino:

“Hor dì a Fra Dolcin dunque, che s’armi,

Tu, che forse vedrai il sole di breve;

S’egli non vuol qui tosto seguitarmi;

Si di vivanda, che stretta di neve

non rechi la vittoria al Noarrese,

che altramente acquistar non saria leve”

Dolcino, sulle montagne tra Vercellese, Novarese e Valsesia, patirà la fame e il gelo.
Fatalmente, proprio il 25 marzo del 1307 il suo esercito asserragliato su un monte, che da quel momento prenderà il nome di Monte Rubello, "il monte dei ribelli", capitolerà.
Il racconto della strenua resistenza di Fra Dolcino e dei suoi seguaci è sintetizzato in un video, realizzato in occasione del Dantedì 2021, nel 700esimo anniversario della morte di Dante Alighieri.  
 
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