Le ricette del venerdì in Archivio di Stato

 a cura di F. Frongia, I.A. Montalenti, S. Sette

Il confine tra la medicina dotta e i rimedi della tradizione popolare è sempre stato molto fluido. Tra le carte di dotti, medici e speziali conservate presso l’Archivio di Stato di Vercelli sono facilmente reperibili, nei medesimi fascicoli, ricette culinarie accanto a rimedi fitoterapici e medicinali. I rimedi curativi, applicati sia alle persone che agli animali, avevano il loro fondamento in sistemi terapeutici antichissimi, che mescolavano conoscenza popolare, magia e sacralità.

Attraverso le fonti è possibile seguire il lento processo di passaggio da metodi curativi basati su antiche credenze ad altri di impronta medico-scientifica.
Un curioso appunto settecentesco proveniente dal fondo della nobile famiglia Avogadro di Casanova descrive, ad esempio, il procedimento di studio e le fasi di sperimentazione finalizzati alla ricerca di un sistema “per far perire quel noioso, e puzzolente insetto chiamato il cimice domestico, che [...] cotanto affligge e perseguita la misera umanità”. In esso emerge chiaramente il tentativo di superare i metodi di cura tradizionali mediante l’uso di strumenti scientifici innovativi come il microscopio.
Nonostante gli influssi e gli sviluppi del sapere scientifico, ancora alla metà dell’800 i rimedi tradizionali convivevano con la conoscenza medica. Il rimedio quotidiano per i pazienti anche ricoverati in ospedale, come testimoniato dai registri delle preparazioni, era infatti la somministrazione di cataplasmi, infusi e latte sia animale sia vegetale secondo “la solita dose”.
I progressi della scienza medica non hanno offuscato per l’uomo contemporaneo il fascino di cure e rimedi basati sul legame profondo e ancestrale con una naturalità antica.

Di seguito, le trascrizioni dei documenti presenti nella galleria sottostante.

N. 1 Mettodo per il siroppo d'uva


Si prende uva o bianca, o nera, di questa i soli acini, si torchiano. Il mosto ponesi a bollire in un baccino e su 2 rubbi di mosto si mettono 4 uova col bianco, e rosso bene sbattuto, ed una gran quantità a discrezione di gusci d'uovo pesti fini, e mescolato tutto insieme, e sbattuto per qualche tempo, si fa poi dare 2 bolliture sempre mischiando, e smuovendo il tutto. Togliesi dal fuoco, si cola ad un panno, colato si prende il sugo e si fa bollire a bagno maria sino che fili come il giuleppo (sciroppo di zucchero caramellato), e questo resta con accido buono e pei frutti a liquido, sorbetti di frutti, e rinfreschi, tranne il latte, ed orzada, per cui conviene, come per il caffè ed acquavite, usar di quello senza accido che si fa come infra.
Tutto come sopra, ma prima di metterlo a bagno maria si prenda un filtrone di vetro o tola, in cui si pone, all'altezza di 4 dita, in una tela densa, avena, prima passata ad un setaccio per purgarla dalla terra, lavata o anche fatta bollire alla qual avena si meschino gusci di uovo ben pesti, e sopra un dito di bambacina, ossia cottone, che copra tutto l'involto di sabbia perfettamente, si fa colare, colato a bollire a bagno maria sino alla consistenza del giuleppo.

N. 2, 3, 4 Invenzioni utili sull’azione delle cantaridi sopra i cimici

Molti furono i rimedi inventati, e proposti per far perire quel noioso, e puzzolente insetto chiamato il cimice domestico, che in tempo estivo particolarmente cotanto affligge, e perseguita la misera umanità; questo sucido animaletto, ove si annida, annoia grandemente, ed inquieta scorrendo su i letti, morde sensibilmente chi vi giace, s’insinua nelle crepaccie de’ buchi delle vetuste muraglie, fra le tapezzerie se ve ne sono, e in tutti que’ ripostigli di legno ove può annicchiarsi, e lascia di se un fetore pressoche insopportabile.
Per isnidare questa sorte d’animalucci è stato proposto il metodo di bagnare gli utensili coll’acqua bollente, d’imbiancare le muraglie, d’ingrassare i legnami, di far il bucato di suffumicare co’ vapori sulfurei e di tutto ciò hò voluto fare io stesso gli esperimenti, ma niuno di questi mezzi fu corrispondente alla mia aspettazione, ne sò se sialo stato pienamente al desiderio di chi gli aveva proposti: giacchè nel breve termine di pochi gjorni hò veduto scorrere lo stesso insetto, e moltiplicarsi nelle stesse fissure ove prima si annidava. In vista di ciò hò fatto varie ricerche, e tentativi non tanto per allontanare i cimici, quanto per farne perire le uova, e omettendo ciò che hò conosciuto inutile, riferirò quello solo che hò trovato efficace.
Col mezzo del ben cognito, e comune insetto detto cantaride (meloe vescicatorius) sono riuscito a liberar dalle cimici i letti, né quali né ho fatto uso. Eccone la preparazione:
Si faccia una tintura spiritosa preparata in un’oncia di spirito di vino ben rettificato (alkool) e due dramme di cantaridi: queste s’infondano nello spirito di vino in vetro ben chiuso, e si lascino in infusione senza fuoco, almeno per ore ventiquattro, agitando di tratto in tratto il vetro: dopo questo tempo senza filtrare la tintura, e sempre rimescolando il fondo, col mezzo di un pennellino intinto della summentovata tintura s’insinui la materia nelle fessure delle lettiere, e di tutti que’ ripostigli, ove i cimici sogliono annidarsi, e si vedranno tosto perire non solo gli animali i più vispi, ma ancora le uova interre.
Volli assicurarmi se questa fosse una vera morte, o un torpore, e perciò appena bagnati colla sudetta tintura senza punto schiacciarli, gli ho sottoposti al microscopio, indi esposti all’aria libera, ai raggi solari, e perfino all’azione dell’aria deffogisticata, per vedere se con questi mezzi si poteva in qualche modo ridonare ad essi la vita; ma ogni tentativo da me usato fu vano, non potendo mai né con questi, né con altri mezzi farli rivivere. Altri esami feci sulle uova lasciandole bagnate colla medesima tintura per molti giorni ove si trovavano senza snidarle, e talora anche ad un grado di calore atto al loro sviluppamento, ma non mai si svilupparono. Con questi esperimenti di fatto mi assicurai d’aver fatti perire tanto gli animaletti, quanto le loro uova. Devesi tutto quest’effetto, cred’io, tanto alla qualità venefica delle cantaridi, quanto al penetrante fetore delle stesse. La descritta tintura potrà adoperarsi liberamente, senza che rechi macchia, o corrossione alla sostanza su cui dovrà applicarsi per ottenere l’intento.

N. 5 L'inchiostro ferro-gallico

La ricetta per fare l'inchiostro perfetto secondo Giacinto Vinea, farmacista vercellese dei primi dell'800.

Ingredienti:
Galle once 3
Gomma Arabica oncia 1
Vitriolo verde once 2
Vino bianco 2 libre e mezza

ATTENZIONE! L'inchiostro ferrogallico è un tipo di inchiostro nero generalmente a base acquosa. Quest'inchiostro penetra profondamente nelle fibre della carta e dei tessuti, risultando quasi indelebile!

N. 6 Il cataplasma


Impasto di amidi o mucillagini ed olii che si applica, di solito caldo, sulla pelle.
Era una delle preparazioni galeniche più comuni e poteva essere freddo, se di terre o argille, con funzione antinfiammatoria, oppure caldo, somministrato in pappette molli tipo polentine, nelle quali alla farina di semola o di mais si mescolavano erbe per attivare i processi di guarigione. Alcuni cataplasmi avevano funzione cicatrizzante, altri emolliente.

Ecco una delle ricette dal registro delle preparazioni dell'ospedale di Sant'Andrea di Vercelli:

Mistura nitrosa
Acqua imperiale
Soluzione arbica
Decotto di malva
Infusione paligala
Infusione di belladonna
Latte di mandorle dolci
Dose solita
+
sciroppo di tamarindo: frutti di tamarindo e zuccaro
+
tavolette di santonina

N. 7 Lo scabeccio delle trote

Lo “scabeccio” o carpionatura indica una lavorazione del pesce al fine di renderlo conservabile. Non esistevano i frigoriferi quindi si ricorreva a sistemi di conservazione naturale.

Lo scabeccio delle trote all’usanza nostra, si fa primieramente col far bollire una padella d’ olio di noce ben purgato, colla infusione d’un bicchiere d’aceto; quindi vi si collocano le trote, facendole cuocere a fuoco violento, fintanto che sieno divenute ben asciute, quali collocate in un piatto, ed a proporzione salate, vi si infunde aceto forte, a segno che siano coperte almeno per venti quatro ore, e volendole mettere nelle scatole, vi si fa un piano di lauro gentile, e una aspersione di canella fina per ogni corso, ed ecco la ricetta.

N. 8 Metodo di fare il vino usato in Nizza Maritima

Subito raccolte le uve, e messe nella tina si facciano pestare subito acciò non fermentino né si scaldino prima di pestarle. 
Nel giorno dopo che furono pestate si cavi il vino, e si versi nel bottallo a ciò destinato (areate sopra l’uscetto), od in due, o più. Quindi nel giorno pure seguente si facciano torchiare le vinaccie, ed il vino che da esse si caverà nella prima torchiusa si metterà nello stesso bottallo suddetto assieme al primo vino, e se in più bottalli vi si distribuirà proporzionatamente il vino della torchiusa lasciando aperto l’uscetto, o sforo ove si mette il bondone, acciò il detto vino possa bollire, e gettar fuori le materie eterogenee e siccome nel bollire il vino, e gettar fuori del bottalo le materie impure si consuma, ed acciò possa continuare il vino bollendo gettar fuori facilmente dette materie, resta necessario che il bottallo sia sempre pieno e raso, perciò si avrà attenzione di riporre a parte in un qualche vaso, ossia cebro quantità del primo vino estratto come sopra dalla tina, e si avrà cura di aggiungere due o tre volte al giorno di questo vino nel bottallo, acciò sia sempre pieno raso, come sopra si disse.
Allorquando terminato avrà e finirà di bollire il vino nel bottallo, o bottalli, questi si chiuderà, ed otturerà bene, e si lascia fermo sino alla seguente luna piena di Marzo, ossia la tempo in cui nell’aprirsi della primavera soglionsi cangiare i vini da un bottallo all’altro, si farà lo stesso del detto vino traslocato tutto il chiaro in un bottallo, e pieno che sia, si otturerà ben bene, e si lascierà fermo sin a tanto che se ne voglia far uso, e meglio se dopo uno, o più anni a piacimento.

N. 9 Tintura di guajacco detta tafià

In un fiasco, il quale sia per due terze parti pieno di spirito di vino ben rettificato si infonde polvere di gomma di Guajacco, un duodecimo in peso in quanto risulta essere lo spirito di vino, cioè deotto a quattro libbre di spirito si infondano quattro oncie di gomma; si ottura il fiasco, indi si volge, e si rivolge sossopra, e si agita per quattro, o conque minuti; conviene replicare frequentemente nel primo giorno la detta operazione, acciò si sciolga la gomma, e non si condensi al fondo del vaso: Non si deve cessare ne' cinque giorni seguenti di agitarlo, non però tanto frequentemente; si filtrerà nel settimo giorno facendola passare per la carta; sarà così perfezionata la Tintura.

Chi fa uso del Tafià deve astenersi dal vino, e non bevere di più d'un mezzo bicchiere al giorno come cordiale.

In ogni mattina se ne prende un cucchiaro a digiuno, il cucchiaro deve essere da zuppa, e non da caffè; per due ore dopo convien astenersi da qualunque altra cosa; una pozione di tre quarti d'acqua, ed un quarto di latte sarà utile, se si ha bisogno di bere. Si può prendere il Tafià dieci, ed anche quindici giorni consecutivi; se ne sospende l'uso quando si sta bene, si riprende prontamente quando si sentono viscidumi allo stomaco, o al ventre, oppure quando si ha qualche leggiero rissentimento di reumi, è altresì utilissimo per sciogliere le ostruzioni di fegato, di milza, e qualunque altra. Dal Tafià viene eccitata l'appetenza; coniene guardarsi dagli eccessi nel mangiare.

N. 10 Il modo di prendere i confettini di Marte

Si principia a prendere mezzo al mattino, mezzo alla sera, un’oretta circa avanti pranzo, e cena... si tengono in bocca, si liquefanno dalla saliva, ed insensibilmente si inghiottiscono.
Tolerando lo stomaco la mettà del confettino, si passa a prenderne uno intiero al mattino, ed alla sera in detto tempo di cura, che per il più suole essere di giorni quaranta in cinquanta.
Il malato può mangiare di grasso, e di magro a suo piacere.
A persone cachettiche, e gonfie si puonno esibire tre confettini al giorno, cioè uno al mattino, altro a mezzo giorno, altro alla sera.
Giovano per molte malatie, come si può riscontrare nel libro, e specialmente in tutte quelle, ove è languidezza e rilasso delle parti solide, e abbondanza di accidi nelle prime strade.

N. 11 e 12 Composizione della zuppa all'acqua

Conviene in prima formare 3 brodi cioè uno di piselli verdi secchi, l’altro di piselli bianchi secchi e questi a parte ed un sugo di cipolla, i due primi non si fanno che mettendoli all’acqua fredda e cosi lasciarli bollire fino alla perfetta cozione (cottura)  ed il sugo di cipolla si fa col tagliare le cipolle a dadi e queste fare arrossire con un piccolo pezzo di butiro (burro) in una casarola di rame, poi bagnarle con acqua tanto che basti per formarne il sugo e si leva bene quel poco di grasso che vi resta sopra, si piglia poi i seguenti legumi cioè acetosa (pianta erbacea di gusto amarognolo), letughe, boragine e cerfoglietto (erba aromatica simile al prezzemolo), il tutto ben minuto e ben lavato vi si mette una cipolla ed una carota ed una rapa un piccolo pezzo di pane il tutto intero ed un bochetto con due porri, un poco di pazemolo intero due garoffani e poi si fa asciugare sopra il fuoco, vi si lava quell’acqua che farà asciugando e questo serve per levare il forte dei legumi, e poi si bagna con i suddetti brodi cioè metà caduno de’ piselli ed una quarta parte del sugo di cipolla e di poi si forma la purea de’ piselli verdi, che si fa passando i piselli ad una servietta (tovagliolo di tessuto), e si mette pure assieme al resto faccendola cuocere  con sale a proporzione almeno tre ore e poi si passa alla stamina (un tessuto di forma quadrata a trama molto fine, un tempo utilizzato per filtrare brodi, salse e altri liquidi semidensi), e questo serve a fare due zuppe cioè una chiara e l’altra colla purea e per fare la chiara bisogna lasciare riposare il brodo e questo resterà il di sopra chiaro, che serve per fare la prima, ed il deposito servirà per fare quella con la purea.

N. 13 Modo di far le bondiole (cotechino) all’uso di Parma con i lumbi, e lombini del majale, tanto da far cuocere, come crude.

Si prende la coppa semplice dell’animale (quale spaciato che sia ne somministra due soltanto) distaccata dal lumbo, si posa per regolarsi circa la quantità del sale, mettendone mezz’oncia per ogni libra; indi s’impasta la coppa insieme col sale alquanto trito a tutta forza di braccio.
Intruso che sia, e ben attaccato il sale vi si mette sopra la coppa un asse pesante, e si lascia in questa pressione per giorni tre intieri, se il tempo è sereno, e se altrimenti per giorni cinque.
Per formare il salame si potrebbe usare i consueti budelli, o anche la vescica dello stesso animale, o del bue: il meglio però è di servirsi di quella cartillaggine che cuopre la sogna (o songia: parti grasse e molli del maiale, spec. di quelle che avvolgono i visceri, da cui si ricava lo strutto) dello stesso animale, quale si staccherà più facilmente quando che la medesima sogna è ancor calda. Se questa non si staccasse intiera, o sia di larghezza sufficiente a fasciare la coppa, si potranno cucire insieme i pezzi. Il modo di ben fasciarla, e cuoprirla è il seguente. Si torna ad impastare la detta coppa, e prima di ridurla in figura rotonda, vi si mette nella parte interna da cima a fundo un tantino di pepe rotto, un chiodo di garoffani fatto in pezzetti, e due prese di canella spolverizzata. Indi si fa il salame legandolo da un capo con due spaghi incroccicchiati, e lunghi tre rasi (unità di misura in uso in Piemonte prima del sistema metrico decimale, corrispondente a 0.60 metri) per cadauno o anche quattro, affinchè si possino incrocciare dall’altro capo amendue; ed in seguito intracciarsi per traverso a quadretti stringendone la coppa più che sii possibile, e forandone tratto tratto la cartillaggine dove troppo gonfia.
Per formare poi le bondiole di lombini da mangiarsi crude, si prendano i lumbini, e si fa la medesima fatura delle altre da cuocere.
Per conservare poi e le prime, e le secunde, si devono appendere appena fatte in una camera ove vi sii fuoco, o almeno calda a sufficienza, a passato alcuni giorni si devono restringere i spaghi allentati dal prosciugare che fanno le bondiole, e si riattaccano di nuovo acciò rasciughino a sufficienza. Quando saranno asciute, si devono ungere di oglio, e di aceto, e passati due o tre giorni vanno messi nella cenere la quale attaccandosi all’unto, fa come una patina, e questa è quella che la conserva, tenendole però all’inverno in un luogo asciuto, e all’estate in cantina.

N. 14 e 15 Ricetta della Bajonesa

Per l’aspic:
L. 8 coscia
6 piotini (piedini)
1 pollo
L. 1 giambone (prosciutto)

Erbe fine:

Stragone
Pampinella
Cerfoglietto
Poretta
Sibolet

6 stomachi polastri
6 uova
Once 6 olio
18 limoni

Latughe per guarnire

Memoire pour faire la Bajonese

On fera un aspic clair suivant la quantité, et on y mettra du jambon maigre, par exemple, pour quatre polets on prendra huit livre de cuisses de veaux avec une poule, deux pieds de veaux avec un demi livre de jambon maigre, quant il sera bien cuit on le clarifiera avec du jus de limon, et quand il sera clerifié, on y mettra la ravigotte bien achée, avec un peu de vinaigre all’estragon et on le gouterà qui soit saisoné. Les quatres poulets qui soient gras, et routis, et quand ils seront froid on les coupera en quatre otant les os du milieu, et la peau, on les mettra dans l’aspic pour les faire glacer en froid en les remuant souvent. Quand ils seront moitié glacés on rangera sur le plat seulement les poulets, et on mettra l’aspic a glacer le retournant avec une quillause jusq’a ce qu’il sera épais pour le mettre sur les poulets, et quand il sera bien rangé, on prendra des leitues coupés en deu, ou en quatre, et on les mettra en infusion au vinaigre à la Valtelline pour un quart d’heure et puis on peut les ranger sur la Bajonese. On prend pour faire la ravigotte comme ci dessus estragon, pampinelle, cerfeuille, porette, qu’il soient verds, et tendres seulement les feuilles avec des rocambole, et ciallotte; les sudits estragon, pampinelles, cerfeuille qu’ils soient bien achées, et les porette qui soit frisée. De rocambolle et cialotte qu’il soit fort peu mais frisée, et puis on le mettra dans l’aspic en le remeuent.

N. 16 Balsamo oleoso dei Padri Sommaschi della Maddalena

Olio di oliva once 28
Resina di pino libre 2
Cera vergine once 6
Olio di sasso bianco once 6

Si mette a bollire l’olio di oliva in una pignatta nuova di terra sinchè venga a quel segno come per friggere i pesci, poi si metta a poco a poco la rasa (resina), e la cera fatta a pezzi, quindi si mescola con una spattola di legno, sinché il tutto sia liquefatto. Dopo si leva dal fuoco di carbone, e vi si mette l’olio di sasso (olio naturale di nafta, ad uso medicinale), e si mescola bene, e poi si cola il tutto per un pannolino raro.
N(ota): avanti di usare il detto balsamo bisogna lavare la piaga con vino caldo, e disteso sottilmente applicarlo al male cangiandolo ogni dodici ore.

N. 17, 18 e 19 Metodo per far l'aceto 

Dizionario universale E 42 @ 43

Metodo per far l’aceto

Due grandi botti di quercia aperte nella sommità, in ciascuna delle quali si mettano un graticcio di legno un piede lontano dal fondo, sopra questi graticci primieramente si pone de’ tralci, o rampolli di viti, e poscia i rampolli de’ rami, senza i grappoli, o gli acini dell’uva, sin che tutto il mucchio giunga un piede lontano dalla bocca, od estremità delle dette botti, quindi si empie una di vino sino alla cima, e si empie per metà l’altra; e col liquore attinto dalla botte piena si empie quella che era piena per metà, ogni giorno ripetendo l’istessa operazione, e versando il liquore da una botte nell’altra; così che ciascuna d’esse botti è piena, e  mezzo piena alternativamente.

Quando questo si è continuato a fare per due, o tre giorni, sorge un grado di calore nella botte che allora è sol piena per metà, e cresce il calore medesimo per diversi giorni successivamente, senza che appaia cosa simile nell’altra botte, la qual in quest’oggi è piena; il liquor della quale resta sempre freddo, e subito che cessa il calore nella botte mezzo piena, l’aceto è preparato, il quale, nella state si compie di fare in 14 o 15 giorni; ma nell’inverno la fermentazione procede molto più lentamente così che si dovrebbe accelerarla con del caldo artificiale, o coll’uso de’ fornelli.

Quando il tempo è oltre misura caldo, il liquore si ha da versare dal vaso pieno nell’altro due volte al giorno, altrimenti si riscalderebbe soverchio (eccessivamente), e la fermentazione diverebbe troppo forte, onde le parti spiritose se ne volerebbero via e lascierebbero un vino vappido (insipido) invece di aceto.

La botte che è piena, deve sempre lasciarsi aperta sul colmo ma la bocca dell’altra debbe chiudersi con un coperta (coperchio) di legno, affine di meglio tener giù, e fissare lo spirito nel corpo del liquore, imperochè altrimenti sarebbe facile che se ne volasse via nel calore della fermentazione. La botte che è sol la metà piena, è verisimile che si riscaldi più tosto che l’altra, perché ella contiene molto maggior quantità de’ tralci, e dè trespolli, che quella, a proporzione del liquore sopra il quale alzandosi la massa ad un’altezza considerabile, concepisce calore maggiormente, e sì lo tramanda al vino che è di sotto.

 Nn. 20 e 21 Oglio di faggiole

Nello spogliarsi nel mese di ottobre il faggio delle foglie cadono i frutti dai gusci appertisi, restando questi ordinariamente attaccati all’albero. Colti i frutti si mettono al sole alcuni giorni perché si secchino, e non germoglino, il che fanno facilmente.
Volendo far l’oglio, la dose, che si usa nel nostro paese, si è d’un emina (equivalente a circa 23 litri) un puo colma, ossia di nove coppi (che equivalgono a dieciotto di Vercelli) di frutti ancor vestiti.
Per spogliarli si mettono sotto la pista (macina), e si tritolano alcun poco, indi si crivellano col crivello da grano (setaccio per la pulizia dei semi), ed il restante si passa al vano (vercellese “val”) se vi rimangono ancora frutti vestiti, si mettono di nuovo sotto la pista.
Spogliati così i frutti, sebbene vi rimanga ancora qualche crusca di pelli, si mettono sotto la mola, e si pestano sin che sieno ridotti in pasta, al che fare vi vuole non meno d’un ora, e mezza.
Poi la pasta si mette nella caldaia, avendo già in pronto due pinte (circa 1,6 litri) circa d’acqua bollente, con cui si viene umettando la pasta mentre questa si cuoce, sino che tra il calore del fuoco sottoposto alla caldaia, ed il calor dell’acqua bollente si scaldi in maniera, che preso un pugno di detta pasta in mano (lasciata raffredare tanto, che non scuota) e, stringendola bene, si vede uscir l’oglio tra mezzo le dita, e scendere goccie a terra, allora si mette al torchio, e né vie fuori sei, sette, otto circa libre di oglio (pari a circa 0.370 litri).
Quest’oglio è molto grasso, e non si può estrarre senza essere forzato dal calor del fuoco, e dell’acqua bollente, ed è di color giallo; serve al lume, ed a far frigere i pesci, ed a guarire le abbruciature, per il che si mescola con acqua, e si batte sin che se ne formi una specie d’unguento bianco, il quale più si conserva, più s’ingrassa divenendo denso come balsamo: ha tanta efficaccia, che i contadini nostri alla sua unzione hanno posto il titolo di “Battesimo di Costantino”.
Il faggio non produce tutti gli anni la stessa quantità di frutti, ma ogni due, o tre abbonda di più; quest’anno si spera buona raccolta.

N. 22 Metodo di purificare l'aria delle stalle

Metodo di purificare l’aria delle stalle, ed altri luoghi, in cui si conservano animali domestici, e di liberarle dall’infezione.
Si metta in un’olla di terra non inverniciata una libra di sal comune, e si addatti l’olla sopra carboni ardenti. Quando il sale sarà un po’ riscaldato, vi si versi al di sopra una libra di spirito vitriolo (acido solforico), coll’attenzione, che l’operatore prontamente ritirisi per evitare i vapori bianchi, che si elevano. Le finestre, e le altre aperture siano tutte ben otturate. Questi vapori sono sottili, e si insinuano per ogni dove, e si dissipano prontamente. Questo metodo immaginato dal celebre Morveau per le chiese di Digione infettate dall’odore dei cadaveri che marcivano nelle sepolture, è ora comunemente praticato in Francia per disinfettare le stalle, e riesce utilissimo soprattutto laddove sono morti bestiami di malattia pestilenziale, e putrida, e in tutti i casi di episootìa. Il metodo è facile, ed economico, e preferibile ad ogni altro. Ciò che rimane nell’olla si conservi, esso è un sale rinfrescante, e diuretico. Si possono mettere due o tre cucchiai di questo sale con molta aqua, e amministrarlo al bestiame per rinfrescarlo.

N. 23 Linimentum crinificum

PRENDI:
3 dramme di cenere d’api semplici 
1/2 dramma di grasso d’orzo fresco e di olio di lucertole 
2 scrupoli di noce moscata

Mescola tutto insieme, ad arte, fino ad ottenere un linimento (medicamento topico che ha una consistenza mezzana tra l’olio e l’unguento, composto di sostanze pingui, mucillaginose o acquose esattamente incorporate, destinata per ungere le parti esteriori del corpo) con cui frizionare il capo.

Come singolar mezzo si loda fregare prima ben bene il capo con una cipolla mezza cotta sotto le ceneri calde, di cui la scuola salernitana scrisse: strofinando frequentemente con cipolle tritate le zone prive di capelli, potrai riacquistare la bellezza del capo.

N. 24 Mostarda

Prendi pomi curtipenduli e pomi cotogni, ai quali sia stato levato il ruspone (torsolo libre 12= 6 per sorta
Miele ottimo colato libre 12
Vino generosissimo libre 3
Cedro candito oncie 4
La scorza di quattro limoni sminuzzata. 

Cuoci a giusta consistenza, quindi reso tiepido si aggiungano le seguenti dosi:
cannella scelta polverizzata 1/2 dramma
senape fresca polverizzata 3 dramme

Se ne faccia massa con una sufficiente quantità di vino aspro e si aggiunga agli altri (ingredienti) riscaldati e si conservi la preparazione ricavata in un vaso adatto.

***

Nota: se si fa con pomi dolci sarà necessario mettere tutti quattro li sunnominati limoni per intiero, cioè la pelle e la polpa sugosa, tagliandoli a fette minute.

N. 25 e 26 Colla per fissare la febbre terzana quartana e intermittente secondo il giornale di Pariggi

Prendi 1 dramma e mezza di colla forte pestata e fatta passare attraverso il setaccio. Sciogli a fuoco lento in una dramma e mezza di acqua di fonte, mescolando assiduamente con una piccola spatola fino a che la colla non sia sciolta, alla quale aggiungi due once di zucchero bianco polverizzato e profumato con mezza dramma di acqua di fiori di arancio.
La maniera di prenderla si è che l’ammalato dovrà prenderla nel principio dell’accesso febbrile, cioè sul cominciar del freddo, e la prenderà in tre volte, alla distanza di dieci minuti da una volta all’altra, quindi dovrà trattenersi da qualunque bevanda per lo spazio di due, o tre ore, o circa, e la ripeterà per altre tre volte per formare la dose giusta di sei once di glutine quale si ricerca per fissare la febbre, ed ecco la ricetta come la preferivano li signori medici.
Siegue… Per i ragazzi alla dose di mezz’oncia per volta; il prezzo, la colla a soldi 5 per oncia, soldi uno di zucchero, soldi uno per l’acqua di fiori di arancio, e soldi 5 per la fattura, ed il tutto è qui chiaramente accennato.

N. 27. Taphtà d'Angleterre

 
Prendi un raso di taffetà, ossia sandalina nera filippina; poi prendi mezz’oncia di colla di pesce, ed un’oncia di colla chiara comune, quali si preparano come siegue.
La colla di pesce bene pestata, e ridotta in lamine sottilissime si taglierà bene minuta colla forbice; e la colla ordinaria prima rotta si lascierà sola nell’acqua comune per tre ore; quindi si aggiungerà la colla di pesce, e si farà cuocere leggiermente a filo; indi levata dal fuoco si metterà del balsamo peruviano liquido quanto basti, o quanto se ne vuole per non rompere la giusta consistenza, e dopo bene mescolato si distenderà benissimo tirata, ed eguale, usando però nel distenderla un picciolo pennello.
Si vende soldi 10 per picciolo quadretto di mezzo foglio.

N. 28, 29 e 30 Consigli per la coltivazione degli ulivi in Piemonte

In questo documento anonimo presente tra le carte della famiglia Avogadro di Casanova nel fascicolo “Rimedi diversa sorte”, senza data ma presumibilmente ascrivibile alla prima metà del XIX secolo, si forniscono utili “regole metodiche” per introdurre nel territorio vercellese la coltivazione dell’ulivo: dal luogo dove rifornirsi delle piante, al prezzo da pagare per ciascuna di esse, fino alla descrizione puntuale di tutte le fasi della coltivazione, raccomandandosi di non demoralizzarsi se qualche pianta andrà “a male”.

Le piante degli ulivi sono le migliori quelle, che nascono nel territorio di Gaselli, o del Borgo Maro dell’alto Principato d’Oneglia (località nella attuale provincia di Imperia, Liguria). Per averle perfette si potrebbe far capo del signore Marchese di Ciriè, acciò dasse ordine al suo fattore di farle sradicare a tempo e subito sradicate se ne dee far la condotta. Condotte che saranno deonsi subito piantare.
Si procurerà di averle sufficientemente grosse e grandi e diritte. Si pagherà per cadauna circa una lira di Genova.
Il tempo più atto a piantarle è la primavera; sebbene si possino piantare anche sul principio di autunno. Il luogo deve esser di collina; l’esposizione deve partecipare almeno del mezzogiorno specialmente in questo clima rigido del nostro. Le fozze deono essere fatte con ordine, vale a dire in linea diritta, se si puote ed il terreno lo comporti; saranno quadrate, larghe longhe e profonde un raso e mezzo (misura lineare utilizzata in Piemonte nel secolo XIX equivalente a circa 0,60 mt).
Ecco il modo più facile e sicuro di piantarle. Si getterà la pianta in mezzo della fossa in linea perpendicolare, talchè le radici tocchino il fondo; sopra le radici si porrà quanto cape in un capello di terra vergine, voglio dire terra che da qualche anno non sia stata coltivata, trita e ben purgata dalle radici d’erbe, e da sassi e ben asciutta. Sopra questa terra deesi gettare un picciolo cesto di lettame non troppo forte. Se fosse scoppatura di case sarebbe migliore; e poi si coprirà la fossa con terra vergine vale a dire con quella terra che è nella circonferenza della fossa, e che non fu smossa nel formarla, non servendo la terra, che fu scavata. Se però tutto il terreno fosse stato lavorato pria di formare le fosse si riempiranno queste della terra prima lavorata, e non di quella che fu estratta dalle fosse medesime; poi subito si adacqueranno con secchi d’acqua pura per caduna pianta, metodo, che si praticherà per tre o quattro estati consecutive una volta la settimana quando non piovesse. Doppo essere state piantate si prenderà della terra umida impastata, e si porrà sopra d’ogni pianta sicchè cuopra la parte recisa a guisa di un capello. Crescendo i germogli, se fussero molti, converrà recidere que’, che sono nella parte inferiore, e lasciarne quattro o cinque soli che saranno nelle parti superiori. Converrà difenderli dal freddo e dagli animali. Quando poi saranno rassodati resisterranno al rigore, specialmente se saranno esposti al mezzo giorno. Di molte piante alcune anderanno a male, non ostante la diligenza del colono; dice lo spirito santo “mentietur opus olive (l’ulivo non manterrà fede col frutto)” seppure debbesi questo testo intendere letteralmente.
Gli ulivi sono alberi che sebben nel crescere sieno tardi “tarde crescentis ulivae” come disse Virgilio (Georgiche, Libro II), pure doppo sei anni producono.
Eccole in breve Illustrissimo figlio le regole metodiche per introdurre nel Piemonte un genere, che potrebbe formare un oggetto di lucro universale, ed a Lei la gloria tributare di averlo promosso. I membri di uno stato devono industriarsi, acciò il danaro circoli per tutte le sue parti, in guisa tale, che non esca fuora. Quindi devono essere occluse le bocche, per le quali potrebbe uscire, ed aperte quelle, per cui puote entrare. Questi paesi mandano fuora non poco denaro per le provvisioni di olio.

N. 31 Contro le mosche e zanzale

Canfora, quanto basta, gettata sopra carboni accesi, o ferro rovente.

N. 32 Proprietà dell'olio di semi volgarmente chiamato di marmotta

Proviene dal nocciolo di un frutto somigliante alle piccole prugne selvatiche, lo si mette in un mucchio, questo frutto, per farlo un po' fermentare poi lo si lava esattamente fino a che il nocciolo sia pulito, poi lo si pesta come quello della mandorla e lo si mette nel frantoio.
È molto adatto per l’insalata mescolandovi quando la si fa due terzi di olio di oliva, in questo modo l’insalata non può mai dare fastidio, oltre la suddetta qualità guarisce in poco tempo le coliche e il mal di stomaco cagionati dai frutti, acque e altre sostanze crude.
Si irrancidisce facilmente, se non si ha l’accortezza di tenerla al fresco.
Il suo prezzo è comunemente da 15 a 16 la libbra.
Si trova esclusivamente nella val d’Oulx e di Bardonecchia.

N. 33 Café Chicorée

Parigi, il 20 novembre 1808
Signore,
abbiamo l’onore di annunciarvi che abbiamo istituito una fabbrica di Cafè alla cicoria di qualità superiore, e di cui garantiamo la purezza.
Affinchè il pubblico sia certo che il nostro caffè è puro, abbiamo depositato presso il signor Narjot, notaio a Parigi nella rue Helvetius, la somma di 4000 franchi che apparterranno a colui che dimostrerà che il nostro caffè alla cicoria non è puro ed esente da critiche sulla miscela, che vengono sollevate per gli altri caffè alla cicoria.
Indipendentemente dalla sua purezza, il nostro caffè alla cicoria ha il grande vantaggio di essere torrefatto e tostato con il legno, invece quello delle Fiandre non lo è e non può essere torrefatto e tostato se non con del carbone, di cui l’odore solforoso gli trasmette un gusto sgradevole, e ne altera necessariamente la qualità.
Il nostro Caffè alla cicoria è talmente raffinato che può sostituire il caffè classico, o quantomeno, unito con questo, formare un caffè assai gradevole e molto più salutare di quello classico.
Si può prendere solo, con il latte o con la crema, ed è sufficiente aggiungervi un terzo o un quarto di caffè classico per avere, dopo il pasto, un caffè eccellente, e che favorisce la digestione.
Il nostro caffè alla cicoria purifica e calma il sangue, anziché agitarlo. Unito al latte, costituisce un eccezionale nutrimento per i bambini; dona un colorito sano.
Potrete indirizzare le vostre richieste al Gros – Caillou a Parigi. Le soddisferemo con sollecitudine. Il prezzo del nostro caffè è di 50 franchi il quintale.
Abbiamo l’onore di salutarvi.

N. 34 Kermes minerale per via umida

(utile per la cura delle malattie infiammatorie e in particolare dell’apparato respiratorio, utile anche come emetico)

Prenderai una libra di antimonio di Ungheria, grossamente rotto, e senza polvere, e lo metterai in una pignatta di terra verniciata, e le verserai di sopra libre quattro di acqua fredda, lo farai bollire a fuoco lento, gettandovi dentro mezza libra di alume di feccia (un sottocarbonato di potassa impuro) contuso (pestato), lascierai bollire tutto assieme alla consumazione della metà, avvertendo di tener coperta la pignatta con coperto di terra, acciò non si perdano li solfi alcalini, consumata la metà si filtra il liquore bollente in un vaso di majorica, e quindi raffreddato il liquore, si verserà sopra diversi filtri, e l’acqua filtrata la verserai di nuovo sopra l’antimonio con altrettanto di acqua calda, a cui aggiungerai altre sei oncie di alume di feccia, e si faccia bollire alla consumazione della metà,e quindi ripetuta la medesima operazione quanto vorrai terminerai la detta operazione, quale laverai con acqua tiepida. 

N. 35 Metodo che si tiene nella bressiana per fare il vinosanto

Si scieglie una certa uva chiamata Torbiana biancha che è della miliore e più dolce e qualche pocca di uva cremonese nera tutta ben matura poi si racolie con tutta diligenza quando il sole ha ben asciugata la ruggiada, se è possibile farla trasportar dalla canpagna dalle persone acciochè non venga offesa, questa con la solita diligenza doverà riporsi sopra le arele (1), e così lasciarla stare sino che cadono le prime brine e che fa sereno, e ghiaccio, allora si prende la suddetta e si ripone sotto un torchio, ed il mosto doverà riporsi in vasi grandi di legno cioè nelli sogli e lasciarlo sino che si vedrà ben purgatto, e linpido, mentre tutta la feccia anderà sul fondo del vaso poi con ogni destrezza con un caldarino si leva e si pone ne vasseli (2), quali se fossero novi converrà farli una bolitta con vino bianco generoso, se poi si ritrovasse avere vasselli di vini forastieri, allora il vino riessirà miliore, questo è quanto si pratica in quei paesi dove fanno professione di tali vini.

(1) Graticci formati con fascette di canne palustri adoperati per l’appassimento delle uve.

(2) Termine dialettale derivato da vaso, sinonimo di “botticella”; indica un vaso da vino di dimensioni inferiori alla botte.

N. 36 Avviso pratico sovra l'accrescimento, e migliorazione degli Olj che si ricavano dalle produzioni naturali del Piemonte.

E' noto a tutti quanto sia indispensabile ed esteso l'uso dell'Olio servendo egli di combustibile, di vettovaglia, d'ajuto, e d'alimento alla Medicina, alle Arti ed alle manifatture. L'Olio d'Olivo è quello, che generalmente più s'apprezza; ma poichè quest'Albero non alligna nelle terre del Piemonte, dee l'industria nazionale rivolgersi alle altre piante ivi nascenti, e coltivabili, colle quali si supplirà alla mancanza d'un tal Olio, la di cui importazione, oltrechè sempre si fa a gran costo, non è favorita dalle attuali circostanze; l'esito dipende dal modo di esprimere la materia prima. Gli Olj di noce, e di Colzat, di Raffano, di seme di rapa, detto volgarmente Ravizzone, e di Lino fatti con diligenza equivalgono a quello d'Olivo per tutti gli usi.
Lasciandosi all'agricoltura ciò che concerne la moltiplicazione delle produzioni del paese: l'oggetto del presente avviso si è di proporre brevemente alcune facili regole suggerite da sicura esperienza per estrarre dalle mentovate piante indigene maggior quantità d'Olio, e di migliore, e più perfetta qualità di quella che se c'è ricavata col metodo sin qui praticato.
Primo. Sieno il frantajo, ed il torchio lavati diligentemente con acqua calda, indi con fredda avanti di adoperarli nella premitura delle materie.
2° Si tiri il primo Olio senza esporre la pasta al fuoco, cioè a freddo.
3° I panni, neè quali s'involge, hanno ad essere nuovi o lavati in modo che non conservino feccia veruna, nè odore d'Olio precedentemente estratto.
4° la seconda tiratura segua non già con mettere la pasta nella padella secondo il consueto, ma bensì con riporla in un vaso aperto di stagno, che s'immergerà in una pentola piena d'acqua calda, e si terrà sul fuoco al bagno comunemente chiamato Maria. Lo stesso si praticherà per la terza premitura.
Si avranno così tre sorta d'Olj: cioè l'Olio vergine, che sarà ottimo, il secondo, che chiamasi di fiore, ed il terzo detto ripesto: i due ultimi, che convien tenere separati, riesciranno per la sanità de' Contadini incomparabilmente migliori dell'Olio fabbricato secondo l'antico metodo, mentre che il fuoco immediato non investendo i vaso di stagno, in cui è riposta la pasta, e venendo questa soltanto riscaldata dall'acqua, non resta viziata da alcun gusto nauseante d'empyreuma (1), di fritto, o di rancido; massime se si avrà l'attenzione di separare i tre diversi Olj, cangiarli di vaso alcuni giorni dopo, e levarli dal deposito, che avranno fatto, affinchè non fermentino, e che dal fermento non soffrano degradazione.
Non si dubita che il buono successo del proposto metodo non sia per cancellare le prevenzioni di coloro, che sono avversi ad ogni novità; giacchè se confronteranno il prodotto degli Olj premuti giusta la sin qui usata maniera, colla quantità, e qualità di quelli fabbricati colla pratica delle accennate regole, riconosceranno tosto quanto sieno adattate, e profittevoli.
Si fa noto anche ai fabbricanti in lana, che gli Olj di Colzat, di Ravizzone, e di Faggio saranno atti egualmente che l'Olio di Olivo, a sciogliere la vernice, o patina formata dal sucido della traspirazione, e delle stalle, ed a rendere le lane pure, e molli, se ne' vasi, in cui si conservano, a proporzione della quantità si metteranno alcune libbre di piombo minuto, il quale ha l'attività di far deporre la mucillagine, e renderli più fluidi. Quanto più l'Olio invecchierà, sarà tanto maggiormente utile all'uso delle lane, e più economico ad ardere per far lume.
Vercelli, 1794

(1) caratteristico odore della combustione o carbonizzazione di materia vegetale o animale