Mercurino Arborio di Gattinara

a cura di F. Frongia, I.A. Montalenti, S. Sette

Mercurino Arborio di Gattinara nasce il 10 giugno del 1465 dai nobili vercellesi Paolo Arborio di Gattinara e Felicita Ranzo, secondo alcuni a Vercelli, secondo altri nel vicino borgo di Gattinara. Studia legge a Torino tra il 1489 e il 1493, anno in cui si laurea. Per vari anni esercita l'avvocatura e diviene consigliere privato di Margherita d'Asburgo, vedova del duca Filiberto II di Savoia e figlia dell'imperatore Massimiliano I. Nel 1518 viene invitato da Carlo d'Asburgo, divenuto da poco sovrano dei regni di Spagna, a divenire suo gran cancelliere. Mercurino accetta e parte per la Spagna il 15 ottobre 1518. Al fianco di Carlo, Mercurino contribuisce attivamente a farlo eleggere imperatore quando l'anno successivo, nel 1519, muore Massimiliano I. Fino alla sua morte, avvenuta il 5 giugno 1530, a Innsbruck, mentre si stava dirigendo alla dieta di Augusta, Mercurino giocherà un ruolo di primo piano, nel panorama politico e diplomatico europeo e mondiale. Ricordiamo i 490 anni dalla sua morte con una mostra documentaria virtuale. Nei prossimi giorni l'archivio di Stato di Vercelli vi proporrà alcuni tra i documenti più preziosi che attestano l'attività questo importante personaggio vercellese.

Bibl. "Mercurino di Gattinara gran cancelliere di Carlo V. Mostra documentaria" a cura di M. Cassetti e L. Avonto, 1984 

MERCURINO LEGGEVA DANTE  (GUARDA IL VIDEO!)

Nella cornice della mostra virtuale dedicata a Mercurino di Gattinara, Gran Cancelliere dell’imperatore Carlo V, verrà dedicato un approfondimento sull’influenza delle letture dantesche sul suo pensiero.
Il principio di monarchia universale, teorizzato dal sommo poeta, era, infatti, uno degli elementi cardine del programma di costruzione del consenso promosso da Mercurino.
Di seguito, le descrizioni dei documenti presenti nella galleria sottostante.

Nn. 1, 2, 3 Post 1497 - Mercurino è procuratore legale di Maddalena di Bretagna

Registro originale di 58 carte con sottoscrizione e annotazioni autografe di Mercurino nel quale Mercurino espone le ragioni della sua assistita nella causa vertente tra la stessa e Ludovica di Savoia per la pretesa di un vitalizio.

Nn. 4, 5, 6, 7 L'autobiografia "Historia vite et gestorum per dominum magnum cancellarium"

Il documento più importante conservato presso l'Archivio di Stato di Vercelli, tra le carte del cardinale Mercurino Arborio di Gattinara, all'interno dell'archivio famigliare, è indubbiamente la sua autobiografia. Giunto all'età di 54 anni, all'apice della sua carriera di grande statista, Mercurino ripercorre le tappe più importanti della sua esistenza, dalla nascita - preceduta da una breve premessa sulle origini della sua nobile famiglia – e si conclude con il resoconto della battaglia di Landriano, del 21 giugno 1529, dove il comandante imperiale Antonio De Leyva sconfisse l'esercito del Re di Francia: quasi un triste preludio alla sua morte, che arriverà un anno più tardi.

Il manoscritto, intitolato “Historia vite et gestorum per dominum magnum cancellarium”, è scritto interamente in latino, di suo pugno, in terza persona e racconta in maniera dettagliata gli eventi più importanti dell'epoca, da un punto di osservazione privilegiato. Consta di 47 pagine numerate, vergate in bella scrittura umanistica, solo nell'ultima è presente l'indicazione del titolo.

L'autobiografia è interamente edita da Carlo Bornate in «Miscellanea di storia italiana», terza serie, Tomo XVII, Torino 1915, pp. 231-585, e tradotta in italiano da Giancarlo Boccotti in Mercurino Arborio di Gattinara. Autobiografia, Roma 1991, con introduzione archivistica di Maurizio Cassetti.

Nell'Archivio della famiglia Arborio di Gattinara è inoltre presente una copia del XVII secolo in un volume di 38 carte, intitolata Vita Mercurini Arborij Domini Gattinarie Magni Cancellarij Caroli Quinti Imperatoris, accompagnata da una traduzione coeva in italiano (Vita del Gran Cancelliere Mercurino, e carte relative).

N. 8 Sigilli

Sigillo aderente in cera di Margherita d’Austria, moglie di Filiberto II duca di Savoia, duchessa di Borgogna, sorella di Filippo I “il bello”, zia di Carlo V. Anno 1518. Si possono distinguere gli stemmi di Savoia, Austria, Borgogna, Brabante e Fiandra.

N. 9 Sigilli


Sigillo di Carlo V, aderente, in cera con sovrapposto un foglietto di carta pressato a caldo: l'impronta é modellata sulla carta. Anno 1529. Si distingue l’aquila bicipite (con due teste) simbolo degli Asburgo. Nella parte superiore dello scudo sono presenti gli stemmi di Castiglia e León, Aragona e Sicilia. Nella parte inferiore quelli di Austria, Valois-Borgogna, Brabante, Fiandra e Tirolo. Il tutto é sormontato da una corona.

Nn. 10, 11 Sigilli

Sigillo pendente con filo serico, di Carlo V, frammentario. Si tratta del recto nel quale si possono riconoscere le ali dell’aquila asburgica e le parole DUX BU[RGUNDIE]. Anno 1529

N. 12 Margherita d'Asburgo, donna intelligente e colta conquistò la sua indipendenza

Sospesa tra l'immagine di Eva, ambigua, eversiva, causa della caduta dell'uomo e quella di Maria di Nazareth, madre di Dio e "Regina" misericordiosa, la donna nella complessa simbologia del Medioevo è al tempo stesso tentatrice e vergine immacolata, mortale e salvifica, generata e genitrice, all'origine della storia e del Tempo. La sua cifra è quella dell'imperfezione, la necessità di essere "completata" attraverso il matrimonio. Pur sempre subordinata, acquisterà un ruolo centrale nella vita quotidiana delle famiglie comuni e delle dinastie: amministratrice della casa, istruttrice, la donna è spesso più colta del marito. E proprio il matrimonio, quando riserva le più tristi sofferenze, offre al destino delle più illuminate insperate opportunità di ascesa al potere: «Fortune Infortune Fortune», recita il motto di Margherita d'Asburgo.
Donna di carattere, intelligente, colta e bella, Margherita fu protagonista nello scacchiere politico delle maggiori corti europee tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500.
Nasce a Bruxelles il 10 gennaio del 1480, figlia dell’imperatore del Sacro Romano Impero Massimiliano I e di Maria di Borgogna. Margherita e suo fratello Filippo “il bello” sposano i fratelli Giovanni e Giovanna, che sarà ricordata come “la pazza”, figli di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona.
Fin da subito si trova al centro di pettegolezzi: Giovanni muore dopo pochi mesi dal matrimonio, consumato, dicono, dall’ardore di Margherita.
Nel 1501 sposa il duca Filiberto II di Savoia: l’intento della corte sabauda era contenere, grazie a questo matrimonio, l'influenza francese e ottenere l’importante protezione imperiale. Presto dimostra le sue qualità e in pochi mesi spazza via il partito filofrancese, capeggiato da Renato di Savoia, il “Gran Bastardo”, il quale ripara in Francia, spogliato di tutti i buoi beni, le cariche e il nome. Alla corte dei Savoia conosce Mercurino che nomina fin da subito suo consigliere personale, con grande lungimiranza politica. Nel giro di pochi anni tra il 1504 e il 1506 muoiono sia Filiberto che Filippo; Mercurino decide di rimanere al suo servizio. A 24 anni rifiuta il terzo matrimonio e, forte del suo status di vedova, decide di dedicarsi alla politica e alla cultura: la sua biblioteca e i suoi salotti letterari diventeranno famosi in tutta Europa. Le sarà affidata l’educazione del futuro imperatore Carlo V, rimasto orfano a soli 7 anni, e insieme la reggenza e poi il governo dei Paesi Bassi, che terrà, con alterne vicende, fino alla morte avvenuta nel 1530.

N. 13 Mercurino in Borgogna

“Arboriensium prosapia in Vercellensis patria plurimis aduc castellis decorata ex Arborio sequanorum opido initium duxisse fertur...” Si tramanda che la famiglia degli Arborio, che ancora oggi possiede numerosi castelli nel Vercellese, provenisse da Arbois, città dei Sequani.
Con questa notizia, poi smentita dalla storiografia contemporanea, cominciava l’autobiografia di Mercurino, il quale per tutta la sua vita propose una narrazione tesa a nobilitare le origini sue e della sua stirpe facendole provenire da Arbois, città dei Sequani, popolo gallico che occupava i territori corrispondenti alla Franca Contea e alla Borgogna, governati agli inizi del '500 da Margherita d’Asburgo.

N. 14 Mercurino in Borgogna

Il richiamo alle origini borgognone comparirà in quasi tutti i diplomi redatti dalle cancellerie da lui presiedute.
Per dare concretezza al suo progetto decise di acquistare in Borgogna nel 1511 il castello di Chévigny e le sue pertinenze, realizzando in questo modo il dichiarato sogno di «abitare nel paese dei suoi avi, di calpestare la terra da cui erano venuti». Purtroppo questa impresa non andò a buon fine poiché sull’acquisto si innescò una lunga lite giudiziaria con le eredi Champdivers, dagli esiti negativi per Mercurino. Sullo sfondo di queste vicende si inserivano le contese tra gli Asburgo e la nobiltà locale dei Paesi bassi e della Franca contea, gelosi di difendere le loro autonomie e privilegi dalle ingerenze di Margherita e sodali. Oltre alla condanna alla restituizione del bene contestato, Mercurino dovette patire anche la perdita del parlamento di Borgogna e abbandonare la regione. Decise dunque nel settembre del 1517 di ritirarsi in preghiera presso la certosa di Scheut, a Bruxelles...

Diploma imperiale di Carlo V, 1529 maggio 19, Barcellona. Pergamena mm. 568(582)x846(851)

N. 15 Il ritiro spirituale a Bruxelles

Tra il settembre 1517 e il febbraio del 1518, Mercurino decise di ritirarsi in preghiera presso la certosa di Scheut, a Bruxelles, per la commutazione di un voto. Oltre ad attendere alla cura della sua anima, approfittò della biblioteca del convento per approfondire le sue conoscenze teologiche e affinare il proprio pensiero politico. A suo dire si cimentò pure nella composizione di un'operetta dedicata al re cattolico Carlo, dove profetizzava l'avvento della sua Monarchia Universale. Il trattatello però non è mai stato ritrovato.

Mercurino lasciò al monastero numerosi oggetti preziosi tra cui tessuti pregiati, tappeti, due spade, cuscini, abbigliamento di velluto e taffetà, guanti, una bardatura d'oro e velluto per cavalli.

N. 16 Il ritiro spirituale a Bruxelles

Nel nostro archivio, a testimonianza di questo periodo, oltre ad un inventario degli oggetti portati con sè al convento, conserviamo due manoscritti di Mercurino. Il primo contenente appunti e annotazioni derivanti dallo studio delle opere di S. Gregorio Magno; il secondo l'estratto di un manoscritto profetico di ascendenza millenaristica, custodito presso il convento, intitolato "Vittoria di Cristo sull'anticristo". Questi interessi valsero a lenire in parte le sofferenze causate dalle disavventure giudiziarie in Borgogna: «In un sol giorno Mercurino, come l'antico Giobbe, ricevette tre annunci, con i quali si vedeva privato dei beni, dell'onore e della carica». I tempi del riscatto non erano tuttavia lontani: «Dio, giudice giusto, avrebbe punito coloro che avevano commesso tante e tanto gravi iniquità».
Nel giugno dello stesso anno, la morte del suo più grande oppositore, allora cancelliere di Carlo, da lui additato come l'ispiratore di tutte le ingiustizie subite, il fiammingo Jean Le Sauvage, spianò la strada all'ascesa politica di Mercurino: fu raggiunto da un emissario di Margherita d'Austria per annunciargli la decisione di Carlo V di elevarlo al rango di Gran Cancelliere di tutti i suoi regni e domini, proprio in sostituzione di Le Sauvage.

Nn. 17, 18, 19 Mercurino cancelliere

“Sire, combien que Dieu vous ait donné en si bas eage plus de belles prerogatives que à nul autre...”

Nel 1518, a Saragozza, Mercurino giurò fedeltà a Carlo V e, ricevendo tutti i sigilli, fu nominato Gran Cancelliere. Da questo momento divenne il principale consigliere del sovrano, amministratore dei suoi regni e domini e, dopo aver promosso e favorito la sua elezione ad imperatore, stratega politico per oltre un decennio.
Mercurino dispensava consigli di ordine morale e operativo attraverso l’uso di memoriali segreti inviati a Carlo dai quali emerge la figura di un abile e fine statista nel quale le visioni ideologiche e propagandistiche ispirate alla "monarchia universale" si fondono ad un rigoroso pragmatismo politico.

Numerosi sono i memoriali conservati nel nostro archivio, che trattano temi come l'organizzazione burocratica e finanziaria dell'impero, la guerra, gli accordi con l'Inghilterra e il papato.
Di notevole interesse risultano i paragrafi relativi alle condizioni della penisola italiana, al centro delle mire espansionistiche del regno di Francia e delle preoccupazioni dei pontefici.
Nel 1521 Mercurino caldeggiava un impegno diretto dell'imperatore in Italia, definita "il fondamento principale dell'impero", che se trascurata avrebbe portato alla sua rovina.

Nel 1523 Mercurino elencava in 7 punti i principi guida cui doveva ispirarsi l'azione politica di Carlo: timor di Dio, scelta delle persone, organizzazione del lavoro, finanze, amore dei sudditi, reputazione e "assoggettamento dell'Italia", nel quale esponeva con vigore la necessità di una pacificazione del Settentrione italiano. Per Mercurino i ducati di Milano e di Genova erano le "chiavi e le porte" per dominare l'intera Penisola, e l'Italia pacificata "lo scettro per dominare tutto il mondo". Interpretando i timori della Santa Sede di vedersi stretta da un dominio imperiale che andava dalla Sicilia a Milano, egli suggeriva all'imperatore di impegnarsi per la creazione di un clima di fiducia tra impero e signori locali, escludendo un dominio diretto e oppressivo. "Se voi osserverete bene queste sette rimostranze saranno per voi i sette doni dello spirito santo", diversamente, "saranno per voi i “sette peccati mortali” concludeva severamente.

N. 20 I feudi di Mercurino

La lunga attività professionale al servizio degli Asburgo consentì a Mercurino di acquisire numerosi possedimenti, privilegi e favori. La prima infeudazione arriva con diploma datato Tournoi, 22 settembre 1513. L'imperatore Massimiliano I erige in contea, a beneficio di Mercurino, Gattinara, Arborio, Ghislarengo, Lenta, Greggio, Recetto, Giardino e S. Colombano, a ricompensa delle sue missioni all’estero come ambasciatore. La concessione è confermata e ampliata da Carlo V il 10 gennaio 1523 e comunicata al duca Carlo II di Savoia perchè proceda all'infeudazione, come testimonia questo pregiato fascicolo in pergamena riquadrato in oro e colore, conservato presso il nostro archivio.

N. 21 I feudi di Mercurino

Un'ulteriore ratifica è contenuta in un lungo documento sottoscritto dall'imperatore Carlo V in data 2 febbraio 1526 a Toledo, la quale conferma l’infeudazione dei castelli e luoghi della contea di Gattinara, concessagli il 1 maggio 1525 dal duca Carlo II di Savoia.

N. 22 I feudi di Mercurino

In seguito alla liberazione di Milano del 1521, per i servigi prestati nella risoluzione delle controversie in territorio italiano, Mercurino ottenne da Francesco II Sforza le contee di Valenza e Sartirana e nel 1525 il marchesato di Romagnano. Nell'autobiografia Mercurino riferisce la promessa del duca di un'integrazione delle rendite fino a 6000 ducati annui. La notizia trova conferma in un diploma datato 4 febbraio 1526, col quale Carlo V incarica il suo luogotenente generale Carlo di Borbone di far stimare i redditi delle contee e, se inferiori ai 6000 ducati, di provvedere ad integrarli con altre entrate.

N. 23 I feudi di Mercurino

Il lungo processo di acquisizioni di possedimenti per sè e per i suoi eredi trova una sintesi finale in un diploma imperiale del 26 marzo 1527, contenente una curiosa prescrizione: Carlo V concede a Mercurino la facoltà di fregiarsi del titolo di marchese di Gattinara e di Romagnano a condizione che il titolo di Romagnano non abbia mai a precedere quello di Gattinara («ut titulus Romagnam non praecedat titulum Gattinariae»).

Nn. 24, 25, 26 Mercurino archivista 

«Mio Gran Cancelliere, per quanto mi avete fatto relazione, che tenevate molte scritture mie di grande importanza e avevate timore [che] non si sciupino o perdano andando in viaggio, specialmente avendo da passare il mare, che sarebbe grande inconveniente e mi supplicaste che venissero consegnate e riposte in qualche parte dove fossero sicure, per il presente le ordino che consegnate tutte le scritture mie, che tenete in vostro possesso [...] al Reverendo in Cristo Padre arcivescovo di Santiago, Presidente del nostro Real Consiglio al quale ordino che le riceva per conto e stenda di quelle altro inventario». Toledo 24-27 febbraio 1529.


Con questo elenco di versamento, Mercurino consegna delle importanti carte dell'archivio imperiale di cui era responsabile. Tra i suoi compiti infatti, oltre al disbrigo delle pratiche burocratiche, vi era anche quello della tenuta dell'archivio. L'elenco è strutturato per aree geografiche (Italia, Germania, Castiglia, Napoli, Inghilterra, Navarra, Francia, Fiandre, Aragona e Portogallo); le carte sono identificate con le lettere dell'alfabeto.

Il fascicolo, composto da 18 pagine, è rimasto tra le carte dell'archivio personale del Gran Cancelliere, il quale annota di suo pugno la natura del documento.
«Inventario de las escrituras de su Maestad que estavan en mj poder dexada por su mandado al Arcobispo de S. Yago presidente del Consejo».

Nn. 27 e 28 Lo stemma della famiglia Arborio di Gattinara

Originariamente lo stemma degli Arborio di Gattinara era uno “scudo d’azzurro al decusse, ovvero ad una croce di Sant’Andrea, ancorata (con le terminazioni a forma di ancora), d’argento, accantonata da quattro gigli d’oro”. Nel suo testamento Mercurino definisce e descrive dettagliatamente il nuovo stemma, arricchendolo con due leoni rampanti e con l’aquila imperiale : i primi rappresentano le armi della famiglia dei Lignana, acquisite in seguito al matrimonio della figlia Elisa con Alessandro Lignana, conte di Settimo; la seconda  gli viene concessa, come privilegio, da Carlo V.

Dal suo testamento, di cui è riprodotta una porzione in foto, si legge: “portino lo scudo delle armi diviso in quattro; nella prima parte superiore vi siano solo le armi dei nobili di Gattinara della casa di Arborio, cioè sul campo azzurro quattro gigli d’oro con una croce d’argento ancorata per traverso dello scudo a modo della croce di Sant’Andrea dividendo li detti quattro gigli d’argento e parimente nell’ultima parte inferiore, nella seconda parte superiore e nella prima inferiore ci siano solo l’arme dei nobili dei Lignana, cioè in tal campo azzurro due leoni d’oro eretti in piedi l’uno contra l’altro con la bocca aperta, e con li piedi anteriori elevati, che paiano che vogliano affrontarsi, e nel campo dello scudo (come s’è detto) partito in quattro parti, ci sia un’aquila nera e nel capo d’oro, con una testa, come si porta per privilegio concessomi dalla Cesarea Maestà, come sogliono portare i re dei Romani”.


Bibl. M. Coda, Lo stemma della famiglia Arborio di Gattinara, le sue varianti e gli stemmi delle Alleanze, in Mercurino cardinale e Gran Cancelliere di Carlo V e la famiglia Arborio di Gattinara, Atti del Convegno di studi storici (Gattinara 3-4 ottobre 2015), Gattinara, 2016, pp. 91-101.

Nn. 29, 30 e 31 Bartolomè de Las Casas, Mercurino e le Nuove Indie

"L'apostolo delle Indie", «insigne tra i più grandi e i più benemeriti missionari d'America e dell'ordine dei predicatori» (Treccani), Bartolomè de Las Casas trovò il decisivo sostegno del Gran Cancelliere nella sua benemerita e lungimirante opera di contrasto agli abusi e alla schiavitù degli indios. Il suo mito attraversa i secoli, come alto esempio di lotta ad ogni forma di discriminazione razziale.

Nato a Siviglia nel 1484, Bartolomé era figlio di Pedro de Las Casas, un colone che nel 1493 partecipò alla seconda spedizione di Cristoforo Colombo, approdando all'isola di Española (Santo Domingo) attraverso le piccole Antille. Egli raggiunge l'isola nel 1502 al seguito del governatore Nicolas de Ovando e dal 1505 riceve in encomienda un certo numero di indios per lavorare nelle miniere d'oro. La cattolicissima regina Isabella di Castiglia, con proclama 20 dicembre 1503, istituisce la encomienda, ossia la facoltà concessa ai coloni delle nuove Indie di disporre di 50 o 100 "indiani" per essere utilizzati nei lavori agricoli o di miniera, a condizione che vengano istruiti alla fede cattolica.
Le encomiendas in realtà degenerano in una forma di schiavitù legalizzata, che comporta delle pesanti ripercussioni tra le popolazioni locali e una vera e propria decimazione degli indigeni.
Nel 1507 viene ordinato sacerdote a Roma e nel 1510 celebra la sua prima messa nelle Americhe. Egli rinuncia alle sue proprietà, libera gli indigeni, dedicandosi negli anni successivi all'opera di apostolato - in gran parte portata avanti dai padri domenicani e francescani - e alla denuncia degli abusi commessi dai coloni nei confronti degli indigeni. Nel 1516 è ufficialmente insignito dalla corona del titolo di "Protector general de todos los Indios", con il compito di provvedere alla loro emancipazione.

Bartolomé de Las Casas, a partire dal 1515, elabora numerosi progetti per una colonizzazione pacifica delle terre del nuovo mondo, finalizzati al superamento del modello schiavistico delle encomiendas e fondati sulla cristianizzazione non forzata degli indios e del loro riconoscimento quali uomini liberi e sudditi diretti del sovrano spagnolo. Dopo vari fallimenti, stando a quanto riferito da egli stesso nelle pagine della sua Historia de las Indias, grazie al ruolo fondamentale di intercessione svolto dal gran chanciller, riuscì a superare le resistenze del partito di corte vicino agli encomenderos, ottenendo nel 1520 l'autorizzazione sovrana ad occupare con un certo numero di coloni e di predicatori domenicani il tratto di costa della tierra firme tra il Rìo Dulce e il Cabo de la Vela, tra gli attuali Colombia e Venezuela. Il sostegno ai progetti e la sua vicinanza al pensiero lascasiano trovano conferma in un memoriale scritto da Mercurino e indirizzato a Carlo V, il cui originale, datato 1523, è conservato presso il nostro istituto: «...in questo nuovo mondo che Dio ha scoperto per voi, (…), abbiate cura di inviare persone idonee per qualità e numero ad istruire e ridurre alla nostra fede quelle genti, affinchè la religione cristiana possa trionfare senza che essi soffrano la tirannia e la schiavitù».

L'impegno fattivo di Mercurino sulle delicate questioni legate all'amministrazione delle Nuove Indie sono testimoniate dalla presenza presso l'archivio della famiglia Arborio di Gattinara di documenti di varia natura, tra cui si segnalano due dettagliate relazioni sulla situazione politica e sui tumulti scoppiati a Tenustitán (Città del Messico) durante l’assenza del governatore della Nueva España Hernán Cortés. A sugello degli importanti risultati raggiunti, il 22 aprile 1528 è insignito da Carlo V del titolo di cancelliere a vita delle audiencias reali (supremo organo periferico amministrativo e giudiziario) dell’isola Española e della Nueva España (Messico) e gli concede la prerogativa del sigillo delle Indie. Il documento, conservato in originale, riporta la sottoscrizione autografa dell'imperatore («Yo el Rey») e del segretario regio Francisco de los Cobos.

Bibliografia: L. Avonto, Mercurino Arborio di Gattinara e l’America. Documenti inediti per la storia delle Indie Nuove nell’archivio del Gran Cancelliere di Carlo V, Vercelli 1981.

Nn. 32 e 33 Mercurino, le guerre italiane e il Trattato di Madrid

Sullo scacchiere politico europeo giocarono la loro partita senza esclusione di colpi Carlo V e Francesco I, re di Francia dal 1515.
I territori contesi erano la Borgogna, i Paesi Bassi e i territori italiani. Con la conquista definitiva di queste terre da parte di Carlo la Francia si sarebbe trovata completamente accerchiata.

Il territorio italiano, composto da realtà politiche numerose ed eterogenee (le Repubbliche di origine comunale, i regni meridionali, che conservavano una struttura feudale, lo Stato Pontificio, i principati, come quello sforzesco nel Milanese), era invece considerato da Mercurino un insieme di feudi del Sacro Romano Impero. Questa visione era ovviamente inaccettabile per il sovrano di Francia, che con le sue truppe, dopo 4 anni di guerra sul suolo italiano, nel 1525 mise sotto assedio la città di Pavia. Le sorti della battaglia furono però favorevoli a Carlo che con il suo esercito ottenne una schiacciante vittoria, riuscendo addirittura a far prigioniero Francesco I che fu portato dapprima nella fortezza di Pizzighettone (Cremona) e poi trasferito a Madrid.

Questa fu l’occasione per Carlo V di prendere in mano la situazione e proporre le condizioni a lui più favorevoli, tra cui anche i diritti sulla Borgogna, in cambio della liberazione del re francese. Dall’autobiografia di Mercurino sappiamo che egli propose all’imperatore un comportamento molto prudente, che prevedeva prima di tutto di garantirsi l’appoggio degli stati italiani e poi di assicurarsi la Borgogna prima di liberare il sovrano, dal momento che “il re una, volta libero, avrebbe pensato solo alla vendetta e non avrebbe mantenuto alcuno degli impegni assunti” (n. 33, passo dell'autobiografia di Mercurino dove il cancelliere racconta le vicende legate alla redazione e alla sottoscrizione del trattato di Madrid).

Carlo, questa volta, al termine di animate discussioni, non ascoltò i lungimiranti consigli del suo Cancelliere, il quale, abbandonata la corte e riconsegnati i sigilli, costrinse Carlo a firmare di propria mano, nel 1526, l’accordo di Madrid. Questo presentava sì condizioni molto favorevoli a Carlo, ma, come previsto da Mercurino, fu immediatamente rinnegato da Francesco (n. 32, copia dell'accordo sottoscritto a Madrid tra Carlo V e Francesco I).

La fine del conflitto dunque era ancora lontana, ma questa... è un’altra storia.

N. 34 e 35 Mercurino viene nominato cardinale 

Nell’ottobre 1527 il Gattinara rientrò alla corte di Carlo V. Le ostilità tra le potenze europee non si erano ancora placate, e Mercurino mantenne il suo scetticismo nei confronti della politica imperiale di Carlo V.
La svolta si ebbe in seguito al sacco di Roma da parte dei Lanzichenecchi, nel maggio 1527: papa Clemente VII si rifugiò a Castel Sant’Angelo, lasciando la città nelle mani dei mercenari tedeschi, i quali, privi di una guida, si diedero al saccheggio e alla violenza per diversi mesi.
Mercurino vedeva il compimento dei suoi disegni e riprese il progetto che avrebbe portato all’incoronazione di Carlo in Italia, per mano del pontefice. Per raggiungere la pace universale tanto agognata nell’occidente cristiano, nell’agosto del 1529 il Gattinara accompagnò Carlo V in Italia, per dare inizio ad una serie di trattative con il papa: in base agli accordi l’imperatore ottenne la supremazia dell’Italia, e in cambio venne riconosciuto il ducato di Milano agli Sforza e la signoria di Firenze alla famiglia Medici, cui il papa apparteneva.

A suggellare l’alleanza, il 13 agosto 1529 Clemente VII concesse la dignità cardinalizia a Mercurino, attribuendogli il titolo di San Giovanni ante portam latinam. L’evento è testimoniato dalla bolla papale pergamenacea originale, con sigillo plumbeo pendente con filo serico, di colore giallo e rosso, con sottoscrizione autografa del pontefice e dei cardinali, conservata presso l’Archivio di Stato di Vercelli.
Nella parte inferiore della pergamena è visibile la rota, cioè il simbolo di sottoscrizione dei documenti della cancelleria pontificia: al centro è posta la croce, nella corona circolare si può leggere il motto di Clemente VII, che recita “domine refugium factum es nobis a generazione in generationem”, citazione dal salmo 89 (“signore, sei per noi rifugio di generazione in generazione”).

N. 36, 37 e 38 Il testamento di Mercurino

 
Dopo la nomina cardinalizia a Piacenza nel 1529 da parte di papa Clemente VII e portati a termine gli accordi di pace con il papato e gli stati italiani, le condizioni di salute di Mercurino si aggravarono, tanto da non poter assistere all’incoronazione ad imperatore di Carlo V, che avvenne a Bologna il 24 febbraio 1530 da parte del pontefice. Da questo momento Carlo V, fino ad allora “rex romanorum” (titolo dei sovrani del sacro romano impero dopo l’elezione ma prima dell’incoronazione) potrà fregiarsi finalmente, a 11 anni dall’elezione, del titolo di “imperator”.
Mercurino era al seguito dell’imperatore durante il viaggio verso Augusta, per la riunione con i principi tedeschi elettori, voluta da Carlo V per dirimere le controversie religiose insorte in seguito alla riforma luterana (Dieta di Augusta, giugno – novembre 1530). Durante il viaggio Mercurino fu costretto a fermarsi ad Innsbruck a causa delle sue disperate condizioni di salute, e qui morirà il 5 giugno 1530.
All’Archivio di Stato di Vercelli si conserva una copia coeva del testamento del gran cancelliere, in un fascicolo pergamenaceo di 14 fogli, autenticata dal notaio Juan Camallonga e munitoadel sigillo di Carlo V, aderente in cera con sovrapposto un foglietto di carta impresso a caldo.
Nel testo si leggono le disposizioni relative alla sua sepoltura: dopo la morte il corpo dovrà essere traslato a Gattinara, presso la chiesa di San Pietro, dove Mercurino stabilisce la fondazione di una collegiata di canonici regolari. Sul suo sepolcro, vicino all’altare, dovrà essere posizionata una lapide di marmo riportante il seguente epitaffio “qui vivens publicis semper negociis oppressus extitit, hic moriens pedibus etiam se publice calcandum statuit”.
Purtroppo la lapide originale non è più visibile poiché venne distrutta in occasione del saccheggio della chiesa, avvenuta in epoca napoleonica in seguito alla soppressione degli ordini monastici.
 

N. 39, 40, 41, 42, 43 e 44

A Innsbruck, durante il viaggio verso la cittá di Augusta, Mercurino moriva.

Il testamento, redatto a Barcellona il 23 luglio 1529, disponeva che contestualmente alla sua morte, sotto la responsabilità del consigliere cesareo ed esecutore testamentario Giovanni Bartolomeo Arborio di Gattinara, venissero redatti degli inventari dei beni posseduti da Mercurino, onde evitare spiacevoli danni al patrimonio del defunto.

Presso l'Archivio di Stato di Vercelli è conservato l'elenco di beni che vi presentiamo nelle immagini, redatto dal luogotenente protonotario imperiale Juan de Camallonga il 5 giugno 1530.

Il documento ci permette di entrare un'ultima volta nelle stanze di Mercurino e curiosare tra gli effetti personali, gli oggetti preziosi, il vestiario e gli strumenti di lavoro che non lo abbandonavano mai nei frequenti spostamenti lungo il Continente.

"Nell’anno dalla nascita di Cristo 1530 il quinto giorno del mese di giugno nella città di Innsbruck, cioè nella sua periferia, e nella casa dove era ospitato ed è morto il reverendissimo in Cristo padre e signore Mercurino di Arborio cardinale marchese di Gattinara e Romagnano, conte di Valenza e Sartirana, etc, supremo cancelliere e consigliere di sua maestà cesarea e cattolica, nostro signore imperatore e re, ora felicemente regnante, essendo presente e nominato personalmente il magnifico signore Giovanni Bartolomeo di Gattinara, dottore in entrambi i diritti (civile e canonico) e reggente della cancelleria e consigliere di quella stessa maestà, uno tra gli esecutori dell’ultimo testamento dettato in forma solenne e formale dal predetto reverendissimo signor cardinale prima che giungesse all’apice del cardinalato (...) Giovanni de Comalonga, luogotenente protonotario di sua maestà e notaio pubblico nella città di Barcellona il giorno 23 del mese di luglio ultimo scorso.
Poichè lo stesso esecutore, per eseguire e compiere la volontà e gli ordini del predetto testatore, voleva e desiderava che i beni mobili esistenti e ritrovati nella stessa casa al tempo della morte della reverendissima autorità venissero descritti ed elencati in un appropriato inventario per evitare difetto di frode e affinchè in futuro appaia ciò che il reverendissimo signor cardinale aveva in quel tempo presso di sé, chiamato a questo fine e qui presente il magnifico Alfonso Valdesio, segretario della cesarea maestà, e me stesso luogotenente protonotaio e in presenza dei testimoni infrascritti io qui presente ho ultimato l’inventario dei beni predetti ritrovati nella stessa casa, così come segue.

Si sono trovate nella camera dove sua reverendissima signoria è morta le cose seguenti:

Un secretaire coperto di cuoio nero e segnato A, dove vi erano:

un orologio di argento in una scatola ricoperta di cuoio nero;
un campanello di argento;
nei cassetti del secretaire, delle scritture con le quali sua signoria dà disposizioni per il suo testamento;

un secretaire simile segnato B, dove vi sono:
una cassetta di argento con due sigilli d’argento di sua reverendissima signoria;
un candelabro di argento;
delle forbici d’argento;
due piccoli astucci d’argento per occhiali;
un calamaio e una clessidra d’argento;
un piccolo sacco di tela contenente 1045 ducati d’oro in dobloni di Spagna, contati davanti a noi;
due anelli d’oro con diamanti;
un altro con un turchese molto grande;
un altro anello d’oro con rubini leggermente irregolari;
un altro con una pietra incisa;
un vassoio di cristallo guarnito con argento;
80 perle, alcune rotonde o oblunghe altre piatte su un lato e rotondi dall’altro;
nei cassetti del secretaire c’erano ancora scritture simili alle precedenti, segnate di mano di sua signoria.

In una cassa contrassegnata con A:
un mantello pontificale cremisi di camelot, aperto con entrambe le braccia;
un cappotto scarlatto cremisi, allo stesso modo;
un altro simile;
una tonaca cremisi di tabis con pelliccia di martora;
una casacca larga e lunga, senza bottoni, di tabis cremisi foderata in tela;
una giubba in raso cremisi foderata di scarlatto;
un’altra simile foderata di tela;
un paio di calzoni interi scarlatti;
8 paia con i calzini distaccati;
6 paia di calzoni scarlatti;
6 berretti scarlatti;
4 cricchetti e tela per degli altri;
una mantellina episcopale di tabis cremisi;
altri 8 di camelot cremisi;
un’altra scarlatta;
un cappello pontificale, i suoi cordoni e le sue nappe cerimoniali;
1 cappello grigio da viaggio;
1 valigia di guscio di tartaruga con le armi e le nappe d’oro e di seta
Alcuni pezzi di broccato per realizzare due cuscini;
una tonaca di raso violetto, foderata con panno grigio;
una borsa di tessuto lucido cremisi e due di raso violetto;

In un'altra cassa contrassegnata con B:
una tonaca di tabis viola semplice con la sua mozzetta (mantellina per abito talare)
un mantello di camelot viola con la sua mozzetta;
un altro mantello di drappo violetto da viaggio;
1 tonaca di camelot violetto semplice con la sua mantellina;
1 camiciotto di tabis violetto doppiato in tela;
1 giubba di raso violetto;
un paio di pantofole di drappo violetto e un altro paio di cuoio di Cordoba;
1 pezzo di cordobano violetto;

1 valigia di drappo violetto con le braccia e le nappine di oro e di seta;
1 borsa di raso cremisi con la cintura di seta;
1 altra cintura di seta bianca con le sue graffette;
1 copertura da mulo di drappo viola;
della tela di Olanda fine per cricchetti;
1 pezzo di stoffa di Calcutta;
1 abito damascato foderato di piume nere;
1 copertura scarlatta per muli;
1 tenda di taffetà cremisi con la sua copertura e la parte davanti uguale;
un'altra tenda in filetto contro i moscerini;

In un'altra cassa di biancheria contrassegnata con D:
9 gonne, 3 camice, dei tovaglioli per la barba, 2 accappatoi bordati in seta;
12 cuffie da notte;
una sottana di fustagno per la notte;
4 cuscini bordati di seta nera e 4 piccoli;

in un'altra cassa contrassegnata con B:
un abito di lana liscia cremisi;
altri due abiti di stoffa marezzata viola e 1 di raso;
un altro di foderato di raso nero;
1 altro di lana liscia cremisi, senza fodera;
1 colletto di raso nero, con pelliccia di martora;
2 giubbe di raso viola;
1 cuffia da orecchie di raso nero
1 mappamondo

In un'altra cassa contrassegnata con F:
sette pezzi di paramento e 1 set di biancheria da letto da campo, di raso cremisi bordato di tela d’oro;
1 set di arredi sacri di tela d’oro viola;
due pallii (paramenti liturgici) bordati in tela di argento, pianeta, stola, manipolo, amitto, corporale e albero di Jessé a 18 personaggi.

In un'altra cassa contrassegnata con G:
8 braccia di scarlatto;
un gran numero di sfoffe diverse in pezzi.

In una cassa contrassegnata con X:
una poltrona coperta di stoffa liscia cremisi e un’altra uguale, nera;
una valigia di cuoio foderata in drappo, con una poltrona guarnita di cremisi e dorata, nella quale si porta sua signoria;
3 culotte di lana, 1 cuscino lungo di piume, 5 cuscini di tessuto lucido nero pieni di piume; 1 tappeto; 1 copertura da letto colorata, una copertura da letto con piume di india; 1 tenda scarlatta con la copertura e il davanti uguale; 3 brache alte, 4 cuscini di stoffa bordati di seta; 5 cuscini pieni di piume; una mantella colorata, un tappeto ed un drappo verde.

Nella cassa della cappella contrassegnata con M, 2 pallii di raso cremisi bordati di pelliccia lucida verde con la piuma, il manipolo, la stola; una borsa contenente i corporali, bordata di tela d’argento, 1 piccolo cuscino di raso, la custodia e la pietra sacra, 2 messali, 2 grandi tovaglioli e 2 piccoli, 1 grande calice d’argento e 1 piccolo con le loro custodie, dei candelieri d’argento con le loro custodie, 1 vaso per acqua benedetta e un aspersorio, ampolle grandi e piccole, 1 tappeto, 1 candelabro.

Nella cassa della cavalleria:
una bardatura da mulo viola con il suo ornamento di chiodi dorati e le staffe dorate alla romana; una bardatura da mulo, di stoffa liscia, nera, con l’ornamento con il morso, le nappe dorate e i cordoni di seta; due coppe dorate e due ornamenti di stoffa liscia; selle e imbracature da mulo e da cavallo e altre cose di poca importanza.

L’argenteria di servizio:
28 grandi piatti, 6 coperchi, 2 catini per lavare le mani, 2 brocche, 12 tazzine con i loro piattini, 6 tazze, 12 cucchiai, 2 grandi saliere e 1 piccola, placcate; 2 borracce, 1 flacone per medicamenti con il suo coperchio, 1 bicchiere grande e uno piccolo, 1 piccolo catino, 2 grandi candelabri e 2 piccoli, 26 coltelli, 1 vasetto.
Dentro un’arca c’erano alcuni pezzi di nappa e tovaglioli per il servizio della tavola di sua signoria come per il personale della sua casa. Nella cucina, molti pezzi che sono stati consegnati ai domestici che se li divisero secondo la volontà di sua signoria, e che, di conseguenza, non sono stati elencati.

Cavalleria:
4 muli di sua signoria, 4 maschi delle Ande, 2 della Vexilla; 17 muli con le loro bardature; 13 cavalli

Denari
Tra le mani del cameriere Herman Rodriguez, le somme seguenti, contate in nostra presenza: 2425 scudi d’oro; 5 corone del re, d’oro; 80 ducati, d’oro; 510 ducati e mezzo, d’oro, pesanti; d’altra parte, 905 ducati d’oro, pesanti, ungheresi e spagnoli."